Recensione “L’attentatrice” di Yasmina Khadra
Titolo: L’attentatrice
Autore: Yasmina Khadra
Pagine: 232
Editore: Mondadori
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Trama
Protagonista de “L’attentatrice” è il Dottor Amin Jaafari, palestinese naturalizzato israeliano, vive e lavora a Tel Aviv, come chirurgo in un prestigioso Ospedale.
La sua vita agiata e tranquilla viene sconvolta irrimediabilmente quando una mattina di un’ordinaria giornata un kamikaze si fa esplodere in un ristorante del centro città.
Eventi tristi, ai quali il popolo israeliano, nonostante la frequenza con cui ciò accada, non si abitua mai del tutto.
Il Dottor Jaafari lavora incessantemente per soccorrere i numerosi feriti, opera uno dietro l’altro bambini, adulti ed anziani che vengono trasportati in ospedale, quando ad un certo punto la Polizia gli comunica la scioccante verità: il kamikaze, anzi l’attentatrice, è proprio sua moglie Sihem.
Disperato e sconvolto, inizialmente incredulo, comincia col tempo a metabolizzare il lutto, lasciando spazio ad un disperato percorso finalizzato ad indagare sulle cause che hanno portato sua moglie a compiere il folle gesto.
La mia opinione
Ho letto questo romanzo molti anni fa, ma mi è lasciato dei ricordi indelebili, di quelli che non puoi rimuovere dalla tua mente. Non solo per come è scritto, una scrittura cruda, audace, veloce, talmente veloce che si ha la sensazione che finisca troppo presto.
Quello che più sconvolge è il dramma personale del protagonista ed il suo percorso interiore finalizzato alla ricerca di risposte che comunque non troverà, ma che lo aiuteranno solo ad ipotizzare i motivi del folle gesto di sua moglie.
Agli occhi degli Israeliani Amin e sua moglie incarnano il modello ideale di integrazione: palestinesi naturalizzati israeliani, conducono una vita agiata a Tel Aviv, dove Amin lavora in un prestigioso ospedale. Sua moglie, bella, colta e raffinata, è perfettamente integrata nel tessuto sociale dell’alta borghesia e nulla lascia presagire l’idea che stesse covando il folle gesto da tanto tempo, spinta da un odio mai sopito.
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Amin si chiede continuamente come sua moglie sia riuscita a nascondergli le proprie intenzioni e perché si sia “scagliata” proprio contro chi l’ha metaforicamente “accolta” e dato la possibilità di realizzarsi e di condurre una vita agiata che, altrimenti, non avrebbe mai ottenuto.
La ricerca di Amin a tali risposte, seppur spinta da motivazioni esclusivamente personali, indaga sugli interrogativi comuni ad un intero popolo, quello Palestinese, di cui la moglie si è sempre sentita parte integrante.
Dapprima egli nega l’evidenza, si rifiuta anche solo di immaginare che sua moglie sia coinvolta nell’attentato se non come vittima innocente e casuale dello stesso, finché non emergono particolari della loro vita insieme che, per superficialità o per distrazione, egli probabilmente ha trascurato.
Amin comincia così a ricostruire i pezzi di un drammatico puzzle dal momento in cui rientra in casa e trova nella buca delle lettere un breve messaggio di sua moglie, che in poche righe racchiude probabilmente l’essenza del folle gesto, nonché anni e anni di mancata comunicazione tra i due.
“A che serve la felicità quando non è condivisa, Amin amore mio? La mia gioia si spegneva ogni volta che tu non la condividevi. Tu volevi dei figli. Io volevo meritarli. Nessun bambino è al sicuro senza patria… Non odiarmi. – Sihem”.