“Tempo di imparare”
Valeria Parrella
Titolo: Tempo di imparare
Autrice: Valeria Parrella
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 124
Giudizio: ✱✱✱✱✱
“Ci ho messo tempo a capire e ce ne vorrà per sempre. Capire dove tu fossi, dietro quale lettera della parola disabilità ti stessi nascondendo, con quale ti fossi armato per portare avanti la tua vita, in un mondo che non ha proprio la forma della promessa“.
Sono queste le parole che Valeria Parrella sceglie per iniziare “Tempo di imparare“, opera scritta in prima persona dopo la nascita di suo figlio.
Con questo libro l’autrice napoletana ha scelto di mettersi a nudo di fronte al suo pubblico, al quale racconta senza giri di parole la propria esperienza di madre di un bambino disabile.
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Recensione “Tempo di imparare”
Una trama vera e propria da raccontare non c’è. In “Tempo di imparare” ci sono però una mamma e il suo bambino. Ed è questa la vera essenza di questo splendido libro, che parla di maternità e molto altro. Infatti in “Tempo di imparare” Valeria Parrella racconta il rapporto con suo figlio dalla nascita fino ai sei anni d’età circa.
In età prescolare ad Arturo viene diagnosticato un ritardo psico-motorio ed un difetto visivo ad un occhio. Il tutto riconducibile ad asfissia durante il parto.
Oltre alle numerose visite mediche e terapie riabilitative, la famiglia di Arturo si imbatte in complessi iter burocratici per vedere riconosciuti e tutelati i diritti del piccolo.
Ogni giorno la mamma di Arturo combatte la sua personale battaglia, armata di coraggio, sfrontatezza e allo stesso tempo tanta pazienza, si scaglia contro istituzioni poco accoglienti, medici preparati ma poco inclini a comprendere l’aspetto umano di chi hanno di fronte, sguardi diffidenti o curiosi dei passanti.
Ma la vita di Arturo e della sua famiglia non è fatta solo di ricorsi contro le ore di sostegno negate o lunghe attese negli ambulatori medici. Infatti Arturo va a scuola e a scuola ci sono i bambini, più alti o più bassi di lui, che giocano, condividono esperienze e si amalgamano tra loro.
“Ti accolgono, ci sono, ti aiutano“.
“– Arturo non parla, però pensa – , ha detto una bambina sgretolando in una frase duemilacinquecento anni di Logos“.
Antonio vuole impastare la pasta di sale con Arturo, la mamma di Antonio lo invita a casa sua a giocare, Arturo invita gli amici alla sua festa di compleanno. Dalle piccole gioie quotidiane condivise tra le aule scolastiche, per la famiglia di Arturo inizia una sorta di fase discendente verso l’accettazione della disabilità del bambino. Arturo, grazie all’occhio vigile della propria maestra di sostegno scende da solo le scale della scuola, partecipa alla gita scolastica e dorme fuori casa, festeggia il suo compleanno con una “bolgia infernale di bambini“.
Arturo piano piano trova il suo posto nel mondo “e se c’è uno spazio per te, allora ce n’è uno anche per me“, scrive sua madre.
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Con “Tempo di imparare” Valeria Parrella ci conduce per mano lungo il proprio personalissimo percorso verso l’accettazione della disabilità di suo figlio e lo fa senza paura di essere giudicata o disprezzata. L’autrice non ha paura di parlare della propria frustrazione di mamma, nè di ammettere di non riuscire proprio ad accettare la disabilità di suo figlio. E per farlo si serve di immagini metaforiche che aiutano il lettore ad immedesimarsi nei panni di un genitore troppo spesso poco ascoltato.
Ma il suo stato d’animo inizialmente ostile e pieno di rabbia viene lentamente smussato quando Arturo, nonostante tutte le difficoltà che si ritrovano nella scuola pubblica, comincia ad integrarsi tra i suoi compagni di classe.
Valeria Parrella ci ha regalato un libro speciale, che ha il pregio di sgretolare e rielaborare il concetto di normalità come pochi hanno saputo fare.
Da leggere e rileggere mille volte!
“E lasciare che quella parola nuova, inglese, ascoltata mille volte e sconosciuta, si radicasse davvero in me: ma non sapevo da dove cominciare, allora la consegnai al Botanico. Lui la prese e, come fosse una lenticchia, come fosse un seme, come fossimo tornati alle elementari, la prese e la mise nell’ovatta bagnata.
– Handicap non è una parola molto facile da far germogliare, – disse. – Però curati ogni giorno di tenerla umida e coperta, per vedere cosa nasce.-“.
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