Recensione di “Il bambino sulla spiaggia” di Tima Kurdi
Titolo: Il bambino sulla spiaggia
Autore: Tima Kurdi
Pagine: 277
Editore: Piemme Voci
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Trama
02/09/2015 – in piena crisi umanitaria siriana, una famiglia di profughi come tante vede segnato il proprio destino per sempre. “Il bambino sulla spiaggia” è la storia di Abdullah Kurdi, fratello dell’autrice del libro, che decide di imbarcarsi, insieme alla moglie Rehanna e ai due figlioletti Alan e Ghalib, su uno dei tanti gommoni gestiti dai trafficanti, che ogni notte salpano dalle coste Turche diretti in Grecia alla ricerca di una vita migliore.
La realtà si rivela subito diversa dalle aspettative, poiché a causa delle forti onde, il gommone su cui la famiglia viaggia si capovolge. Abdullah fa di tutto per salvare la propria famiglia, ma il mare è troppo forte e in un lampo i piccoli e la loro madre vengono inghiottiti dalle onde.
In un viaggio a ritroso nella propria vita, Tima Kurdi, zia dei piccoli Alan e Ghalib, racconta la propria infanzia serena vissuta in Siria, insieme ai suoi 5 fratelli e ai suoi genitori, la nuova vita in Canada, dove si trasferisce in seguito ad un matrimonio sbagliato, fino ai tragici eventi del 2015, con l’avvento dell’Isis in Siria e la guerra civile che ha costretto migliaia di persone ad abbandonare la proprie case e ad annullare le proprie vite.
Il mio giudizio
Il bambino sulla spiaggia, titolo di questo romanzo forte e travolgente, è Alan Kurdi, nipote di Tima, ovvero il bambino che, con indosso una maglietta rossa e dei pantaloncini blu, riemerge dalle onde del mare sulle coste turche della città di Erbil.
All’epoca dei fatti la fotografia fece il giro del mondo, è stata pubblicata da giornali, telegiornali e siti web e richiamò finalmente l’attenzione dei media sul dramma dei profughi siriani.
Dopo l’immensa tragedia che ha colpito la propria famiglia Tima Kurdi diventa la portavoce internazionale dei profughi siriani.
Non è un racconto a lieto fine, né un romanzo, anzi paradossalmente il finale lo si conosce già dall’inizio. Ma non è quello che conta; ciò che conta è la narrazione obiettiva, netta, con cui Tima Kurdi racconta le molteplici peripezie della propria famiglia.
La famiglia è al centro di questo libro. Una famiglia unita anche nelle disgrazie, nella miseria cui si è costretti a vivere nella nuova condizione di profughi in Turchia, ai cui membri non manca mai il sorriso sulle labbra.
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Abdullah ama i propri figli in maniera incondizionata; non ha nulla nella nuova casa in Turchia, ma riesce comunque a riempire la vita dei piccoli di sorrisi e amore e ad arrangiarsi per racimolare qualche giocattolo per i bimbi.
Personalmente questo messaggio mi ha colpito molto ed è quello che nel mio piccolo cerco di trasmettere anche ai miei figli. Abdullah ci insegna che pur nelle disgrazie bisogna restare uniti e se ci si ama anche le condizioni peggiori possono non apparirci tali.
Tima Kurdi con questo suo romanzo riesce a far sentire la voce del proprio popolo ai grandi della Terra.
Lei che si è a lungo incolpata per aver spinto il fratello a partire, per non avergli dato abbastanza denaro per noleggiare un motoscafo più solido, alla fine riesce a portare all’attenzione dei media la tragedia della Siria.
Ha fondato la Kurdi Foundation che si occupa di fornire cibo ed assistenza ai bambini vittime di guerre.
“Quando avete visto la fotografia di quel bambino, il mio caro nipote Alan, morto su una costa lontana, siete diventati parte della nostra famiglia. Avete condiviso il nostro orrore, il nostro strazio, il nostro shock e la nostra indignazione. Avreste voluto salvarlo, ma sapevate che era troppo tardi.Nel vostro dolore avete teso le braccia, e così facendo mi avete preso la mano attirandomi a voi. Mi avete aiutato a non affogare. Ora i nostri destini sono intrecciati. Ora siamo tutti una sola famiglia”