Recensione di “Estasi culinarie” di Muriel Barbery
Titolo: Estasi culinarie
Autore: Muriel Barbery
Pagine: 142
Editore: Edizioni e/o
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Trama di “Estasi Culinarie”
Nel celebre stabile di rue de Grenelle, lo stesso in cui si svolgono le avventure di Paloma e Renè, protagoniste de “L’eleganza del riccio“, Muriel Barbery ambienta il suo secondo romanzo, Estasi Culinarie.
Monsieur Arthens è in fin di vita e alle spalle si lascia una brillante carriera di critico gastronomico, essendo considerato la voce (e la penna!) più autorevole, il guru della gastronomia internazionale, dal cui giudizio sono dipesi i destini e le carriere dei più importanti chef di fama mondiale.
Il critico ripercorre così tutto il percorso che l’ha portato all’apice del successo. Ricorda quando era solo un ragazzino e attratto dalle abilità culinarie della nonna, “tra le cui mani esperte anche le sostanze più insignificanti diventavano miracoli di fede”. Comincia un viaggio fatto di ricordi, di nostalgia, di ricerca dei sapori più puri, ma la voce narrante del protagonista viene di tanto in tanto interrotta da quella di altri personaggi ( l’ex moglie, il clochard che staziona sempre sotto la dimora di monsieur Arthens, la governante, il gatto, i figli…) che potremmo definire “sue vittime” e che raccontano, con brillante lucidità, l’aspetto nascosto della personalità del famoso critico, mettendone in luce, infatti, il lato cinico, spregiudicato e arrogante.
Recensione
Rispetto a “L’eleganza del riccio” questo romanzo ruota attorno ad un unico personaggio, monsieur Arthens, e alle sue vicende personali che ha vissuto nei suoi sessantotto anni di vita; fanno da sottofondo le voci degli altri personaggi che hanno avuto contatti più o meno ravvicinati con il critico e che intervengono di tanto in tanto solo per mostrare disprezzo misto a pietà verso questo strano signore arrogante ed egoista. Tra i tanti, mi ha colpito molto il monologo del clochard Gegene che staziona sempre all’angolo di rue de Grenelle e rue du Bac, e che descrive con invidiabile freddezza il disprezzo colto nei suoi confronti per dieci anni, ogni mattina, negli occhi di monsieur Arthens.
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Il libro è, dunque, l’esaltazione spasmodica dell’Io del protagonista. Dal carattere forte e autoritario, ha avuto gloria e fama dalla vita, ma che, in punto di morte, è completamente solo, ritrovandosi attorno, tra i tanti personaggi che hanno popolato la sua vita, solo un nipote, Paul, che lo assisterà fino alla fine.
L’autrice, inoltre, arricchisce i vari monologhi di descrizioni di cibi, di sapori e di profumi, e lo fa in modo così realistico che sembra quasi di assaporarli e sentirli per davvero, esaltando il gusto e la ricerca della raffinatezza e della perfezione che affliggono Arthens fino alla fine.
Questo romanzo mi ha divertito molto e non poteva essere altrimenti, da appassionata di cucina quale sono! Infatti, fin dalla prima pagina, mi ha fatto rivivere i momenti indimenticabili dell’infanzia, quando anche io, come il protagonista, ammiravo mia nonna preparare pietanze sempre buonissime, oppure mi deliziavo, sentendo, ancor prima di rientrare in casa, il “profumo celestiale” proveniente dalla cucina. Ancora, come rimanere indifferenti al profumo del pesce alla griglia, alla perfezione del pesce crudo ( “fresco, solo, nudo”), alla nobiltà del pane, alla profusione di tajine con insalate fresche…?
Per gli appassionati della cucina gourmet questo libro è davvero imperdibile!
“Il crudo. Com’è superficiale credere che consista nella bruta azione di divorare un prodotto non preparato! Tagliare il pesce crudo è come tagliare una pietra. Agli occhi del novizio il blocco di marmo sembra monolitico. Un bravo marmista conosce la materia, sente dove cederà al suo assalto perché l’incisione è già presente nel blocco e aspetta solo di essere rivelata. I cuochi giapponesi che conosco sono diventati maestri nell’arte del pesce solo dopo lunghi anni di apprendistato, durante i quali la cartografia della carne poco a poco si è svelata ai loro occhi in tutta la sua evidenza.
E’ vero che alcuni hanno in sé il talento di sentire al tatto le linee di frattura da seguire per trasformare l’animale offerto in quei sashimi squisiti che gli esperti riescono ad estrarre dalle viscere insipide del pesce. Prima di diventare artisti, però, devono domare quel dono innato e imparare che l’istinto da solo non basta: occorrono, invece, destrezza nel tagliare, discernimento per individuare il meglio e carattere per respingere le parti mediocri. Talvolta, lo chef Tsumo, il più grande di tutti, da un salmone enorme ricavava solo un boccone minuscolo e apparentemente ridicolo.
In questo campo, infatti, la prolissità non significa niente, conta solo la perfezione. Un piccolo frammento di materia fresca, sola, nuda, cruda: ecco la perfezione.“
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