DAVIDE ROSSI PRESENTA IL SUO ULTIMO ROMANZO “STORIA DI UN NUMERO”
Classe 1985, Davide Rossi è uno scrittore e sceneggiatore italiano.
Autore della sceneggiatura del film “Benvenuti a casa Verdi” (prodotto nel 2013 da “Muccapazza film”), di brevi racconti, poesie e saggi, Davide Rossi scrive il suo primo romanzo “E alla fine c’è vita” nel 2018, che lo presenta al grande pubblico.
Nel gennaio 2021 la casa editrice “Rossini” pubblica “Storia di un numero“. In questo racconto l’autore narra la storia di Kenni, giovane africano in fuga dal suo Paese che sogna di arrivare in Italia. In realtà, Kenni è in ognuno dei tanti migranti che sfida la sorte, le violenze dei trafficanti ed un destino quasi sempre avverso, ma che crede ogni giorno in un futuro migliore.
Ecco la mia intervista a Davide Rossi!
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INTERVISTA A DAVIDE ROSSI
Ciao Davide Rossi e benvenuto nel mio blog di recensioni www.volandosuilibri.it! Ci racconti da dove nasce la tua passione per la scrittura?
La mia passione per la scrittura nasce da lontano, dall’infanzia. La lettura di fumetti, Dylan Dog, e poi di romanzi, Fenoglio e Pavese in particolare, mi hanno aiutato a crescere in conoscenza e fantasia.
Nell’adolescenza è arrivata la passione per il cinema: Fellini, Pasolini, i film horror. L’insieme di queste cose mi hanno condotto lungo una strada già tracciata: il sogno di fare cinema. Come lo volevo fare Scrivere le sceneggiature. Da lì è incominciato il mio percorso, che mi ha portato a scrivere un mediometraggio, diverse sceneggiature di cortometraggi e soprattutto due romanzi.
Come è nata l’idea di scrivere “Storia di un numero” e come mai hai voluto affrontare un tema tanto drammatico quanto attuale come quello delle migrazioni dall’Africa all’Italia?
“Storia di un numero” nasce dalla scrittura di un racconto per un concorso letterario. Quando iniziai a scrivere il testo non avevo la minima intenzione di fare un romanzo, anzi. Ai tempi stavo promuovendo il mio primo libro, “E alla fine c’è la vita”, e non avevo programmato nulla. Durante la stesura di quel racconto, mentre facevo ricerca su internet e sui quotidiani sui flussi migratori, argomento del bando, raccolsi una mole tale di materiale, idee e storie che non potevo limitarmi a scrivere un racconto di 7000 caratteri. In quel preciso istante è nato il romanzo!
Kenny è il coraggioso protagonista del tuo romanzo che, all’insaputa della propria famiglia, parte con qualche soldo in tasca verso le rotte dei trafficanti di esseri umani, dell’ISIS e di Boko Haram. Hai mai avuto modo di interfacciarti con uomini o donne che, come Kenny, hanno attraversato lo stesso inferno?
Si. Durante la ricerca sul campo mi è capitato di conoscere persone che avevano attraversato l’Africa seguendo le terrificanti rotte disegnate dai trafficanti. Tutte queste persone avevano un punto in comune: Agadez, la città da raggiungere per qualsiasi persona che voglia raggiungere in qualche modo l’Europa.
Non è mai facile interfacciarsi con queste persone, la diffidenza è molta, e noi abbiamo contribuito ad acuirla. In ogni caso, una volta che si è riusciti ad abbassare l’inevitabile barriera eretta, il racconto è sempre monco, scevro dei particolari infernali che hanno vissuto. Per questo motivo molto di ciò che ho raccontato è frutto della ricerca condotta tramite documenti e libri.
Nel tuo libro descrivi tutto il percorso di Kenny in maniera estremamente dettagliata. Ci racconti quali attività di studio e di ricerca hanno preceduto la stesura del tuo libro?
Purtroppo non ho avuto ancora occasione di visitare quei luoghi, dunque mi sono avvalso del racconto di conoscenti, di internet, documentari e soprattutto della fantasia.
La cosa più difficile, ancor più che la descrizione dell’ambiente, è stato il contesto. Tale ha determinato una grossa ricerca e un approfondimento fatto con le persone cresciute in quelle zone. Devo dire che ho imparato davvero un sacco di cose.
Kenny, con le sue peripezie, i continui colpi di scena che si presentano durante il percorso, mi ha ricordato i due protagonisti del romanzo “Exit west” di Mohsin Hamid. In questo romanzo, però, l’amore “aiuta” i protagonisti ad affrontare sempre insieme le continue disavventure che incontrano durante il loro viaggio. Come fa, invece, Kenny a superare tutto da solo?
Hai citato un romanzo splendido, forse il manifesto dell’emigrazione, e ti ringrazio per averlo fatto durante questa intervista!
Personalmente volevo narrare un’altra vicenda, ponendo l’accento proprio sulla solitudine. Durante le piccole e grandi tragedie che ci affliggono, gli immensi o minuscoli ostacoli che si frappongono lungo il nostro percorso, prima o poi tutti ci troveremo ad affrontarli da soli. L’essere “SOLI” di fronte all’ignoto, dinanzi al salto nel buio è ciò che forse tutti temiamo. Oltre l’oscurità non sappiamo ciò che ci attende, però questo balzo lo dobbiamo compiere.
Kenny lo fa mettendosi in gioco. Lo fanno tutti i migranti, i malati. Tutti, soli o accompagnati, dovranno fare i conti con il proprio intimo. Kenny lo fa, e tutti cercano di farcela, perché bramiamo la libertà. Questo è il motore di ogni cosa: la libertà di essere sani, di vivere serenamente, o come nel caso di Kenny, di essere se stessi.
Confesso che durante la lettura di “Storia di un numero” in alcuni punti ho avuto difficoltà a proseguire. Non che mi annoiassi, ma perché il linguaggio che hai scelto in talune parti del libro è davvero forte e diretto. Immagino sia stata una scelta voluta…
Si, non volevo essere eccessivo o accattivante, semplicemente volevo narrare i fatti nel loro insieme senza trascurare nessun aspetto, anche quello più raccapricciante.
Ci sono dei capitoli o vicende più disturbanti. Rileggendoli mi sono reso conto di come mi fossi spinto “oltre” nella narrazione. Ho riflettuto se conservare invariato il testo o addolcirlo, alla fine ho deciso di mantenerlo tale e quale, perché quella è la realtà, se può servire a scuotere qualche coscienza ben venga.
Cosa significa per te la parola “Integrazione”?
Significa sforzo. Per noi, che dobbiamo mettere le basi perché una persona possa avere i mezzi per integrarsi in una società diversa da quella di origine. Per chi arriva, per superare le difficoltà iniziali e provare a comprendere la società in cui è entrato a far parte.
Certo in Italia, con degli adeguati investimenti e lo sfruttamento delle professionalità presenti nel nostro territorio, potremmo essere molto più avanti. Confido che un giorno le menti si risveglino da un sonno che ormai dura da anni e migliorino le cose, anche se per ora è solo un sogno.
E poi ideale: quello di vivere indifferentemente in un posto o in un altro nel mondo, senza dover affrontare prove attualmente insormontabili, come vivere in una realtà differente da quella di provenienza senza incappare in problematiche legate alle proprie radici.
Sarebbe bello, ma forse siamo degli inguaribili sognatori, se il tuo libro riuscisse a scuotere le coscienze di chi ancora antepone vecchi pregiudizi sull’immigrazione agli ideali di accoglienza ed integrazione. Quale messaggio speri di diffondere con il tuo libro?
Kenny potrebbe essere il figlio di chiunque. Kenny un giorno potremmo essere noi, o un nostro parente. Sareste indifferenti se ciò che subisce Kenny lo subisse un vostro conoscente? Finiamola di ragionare sui numeri, iniziamo a ragionare sulle storie che si celano dietro a questi e sulle tragedie che li investono per prevenirle e cancellarle.
Prossimi progetti letterari?
Per il momento mi dedico alla promozione del libro. Nel mentre, a breve, comincerò a dedicarmi alla revisione del mio terzo romanzo. In tutto questo, cerco di leggere, vivere e , naturalmente, scrivere!
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