Titolo: L’Arminuta
Autrice: Donatella Di Pietrantonio
Pagine: 163
Editore: Einaudi
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Recensione di “L’Arminuta” di Donatella Di Pietrantonio
L’Arminuta (“la Ritornata”) è il terzo romanzo di Donatella Di Pietrantonio che l’ha resa definitivamente nota al grande pubblico.
Protagonista di questo splendido romanzo è una ragazzina di tredici anni che, in un caldo pomeriggio di agosto del 1975, viene “restitutita” dalla famiglia adottiva alla madre biologica. Con estrema freddezza il padre adottivo, che ora la ragazzina chiama “zio”, la riaccompagna nella povera casa da cui l’ha prelevata quando aveva solo sei mesi insieme a sua moglie.
“Ma chi ti è” si è incuriosita.
“Uno zio alla lontana. Sono stata con lui e sua moglie fino a oggi“.
“Allora la mamma tua qual è?” ha domandato scoraggiata.
“Ne ho due. Una è tua madre“.
Sono queste le prime battute che l’Arminuta scambia con sua sorella Adriana appena giunta nella nuova casa, con cui si apre questo splendido romanzo ambientato in un povero paesino della campagna Abruzzese, terra d’origine di Donatella Di Pietrantonio.
La vita scorre lenta e noiosa, nel contesto disagiato in cui la protagonista del romanzo è stata catapultata a sua insaputa. La ragazzina si ritrova costretta a vivere lontana dalle amiche, dalla scuola di danza e dalle lezioni di nuoto a cui era abituata, ma soprattutto dal calore e dall’affetto che l’hanno avvolta per i primi tredici anni della propria vita.
L’Arminuta, così la chiamano i suoi fratelli, inizialmente è dilaniata dai sensi di colpa. Prima che il padre adottivo la lasci compie un estremo tentativo di ritornare a casa e si rifugia in macchina. Ingenuamente chiude la portiera e preme la sicura, mentre continua a chiedersi il perchè di quell’improvviso abbandono. La ragazzina è convinta di “aver sbagliato qualcosa” e chiede perdono per errori che in realtà non ha mai commesso, ma in cambio ottiene l’ennesimo rifiuto da parte dell’uomo che fino ad allora aveva chiamato papà, che la strattona per un braccio e, a forza, la tira fuori dall’automobile.
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Passano i mesi e la ragazzina fa di tutto per adattarsi alla nuova vita, imparerà presto a “competere per il cibo” che è sempre poco rispetto alle bocche da sfamare, a svolgere, seppur maldestramente, quelle faccende domestiche che le erano fino a quel momento estranee.
La ragazzina si sentirà sempre fuori posto, sopportata da genitori che non l’hanno mai “richiesta indietro” e che vedono in lei solo un’altra bocca da sfamare, e da fratelli che, nonostante il trascorrere del tempo, continuano a giudicarla un’estranea.
Le uniche gioie sono le ore che la ragazzina trascorre a scuola e le chiacchierate e i semplici giochi con la sorella minore. Adriana è l’unica che riesce a regalarle un sorriso, a riempire le noiose giornate tra una faccenda domestica e un sugo da preparare, insomma è l’unica a trasmettere all’Arminuta quel senso di appartenenza e di accoglienza che le è stato brutalmente strappato.
La svolta si avrà quando la protagonista termina le scuole medie e, invogliata dalla professoressa, decide di proseguire gli studi. La ragazzina si trasferisce in città per frequentare il liceo e incontrerà quella madre adottiva che credeva gravemente malata. Solo allora verrà finalmente a conoscenza dei brutali motivi che hanno portato la madre adottiva a restituire la ragazzina alla famiglia biologica.
La maternità raccontata da Donatella Di Pietrantonio
L’Arminuta è una storia dalla trama difficile, triste, raccontata con un linguaggio duro e spigoloso e che affronta il tema della maternità in maniera certamente non convenzionale.
“Non l’ho mai chiamata, per anni. Da quando le sono stata restituita, la parola mamma si è annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori. Se dovevo rivolgermi a lei con urgenza, cercavo di catturare l’attenzione in modi diversi. A volte, se tenevo il bambino in braccio, gli pizzicavo le gambe per farlo piangere. Allora lei si girava nella nostra direzione e le parlavo“.
La protagonista, che in tutto il romanzo non ha nome, ma è semplicemente l’Arminuta, si definisce “orfana di due madri viventi“.
In questo romanzo la maternità è ben lontana dai sentimenti di amore e premura, ma si basa piuttosto su scelte motivate dalla costrizione e che hanno come conseguenza l’abbandono: la madre biologica è costretta ad abbandonare la ragazzina quando aveva appena sei mesi perchè non in grado di provvedere anche a lei e successivamente è costretta suo malgrado a riprendersela, mentre la madre adottiva la abbandona nuovamente a tredici anni, perchè costretta dalla propria situazione familiare.
L’Arminuta è un romanzo che ricorda la scrittura di autrici del calibro di Elena Ferrante e Viola Ardone, che con un linguaggio crudo e diretto riesce a toccare le corde più profonde del nostro animo. Non aspettatevi un lieto fine, ma gustatevi fino all’ultima pagina questa splendida storia.
Consigliato per i veri amanti della lettura!
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